Mi è stato chiesto un contributo in occasione del giorno dell’anniversario della radio. Iniziare parlando di sordità e televisione potrebbe sembrare quanto meno bizzarro. Ma così tanto astruso non è. Quel brusio di voci senza immagini che giungeva alle mie orecchie ogni sera era quanto di più rassicurante e dolce ci fosse nelle mie notti romane. Conoscevo ormai a memoria il palinsesto settimanale, associavo volti di fantasia alle voci, costruivo quadri e paesaggi su suoni e musiche.
Quando avevo tredici anni, ho comprato la mia prima radio, attraverso la quale ascoltavo da mattina a sera Radio Rock ad un volume tale da coprire i brusii della televisione della povera vicina. A ventidue anni, fresca di laurea, in una torrida giornata estiva, ho attraversato la città con il mio motorino per bussare alle porte di un’agenzia radiofonica di cui ero venuta a conoscenza attraverso il web.
Era il 14 di agosto, se non sbaglio. Il mio curriculum, che tra le esperienze più rilevanti citava qualche babysitteraggio e una buona dimestichezza nel confezionare biscotti al cioccolato, era bello pronto nello zaino e il mio miglior sorriso stava già lì stampato sotto il casco. Suono il citofono di un palazzo a dieci piani del quartiere africano. Minuti di silenzio, poi una voce incredula. “Si?!”. “Salve, sono qui per consegnare il mio curriculum, mi chiamo Marzia”. “Ma è il 14 di agosto!”. “Ah”. “Scendi pure, sono nel seminterrato”.
E’ iniziata così la mia carriera radiofonica e la mia esperienza ad AMISnet, l’agenzia multimediale di informazione sociale di cui ancora faccio parte. Monica, la ragazza al citofono, sarà la mia maestra e collega per qualche anno e solo dopo molto tempo mi racconterà che quel giorno di agosto era lì per cercare il suo portafoglio, che non trovava da giorni. Una pura casualità. Correva l’anno 2005 e AMISnet già aveva otto anni di vita. L’agenzia – nata per volere di un gruppo di giornalisti e attivisti, tra cui Francesco Diasio, per anni direttore della struttura – mirava a fare radio pur senza una frequenza, sfruttando le potenzialità di internet.
Non una web radio, con trasmissioni 24 ore su 24, bensì un portale che raccogliesse audio interviste e approfondimenti radiofonici di alta qualità, incentrati soprattutto su tematiche sociali. Dall’immigrazione all’ambiente, passando per l’economia, la finanza e la politica (in senso stretto), AMISnet ancora oggi accende i microfoni lì dove spesso i media mainstream non arrivano.
Oggi la nostra agenzia ha sede in un centro sociale romano, Strike, vicino alla stazione Tiburtina. I nostri programmi sono pubblicati sul sito amisnet.org, e ritrasmessi da emittenti amiche, circa una ventina di radio comunitarie e locali disseminate su tutto il territorio italiano. La diffusione è libera e gratuita, mentre cerchiamo sempre di retribuire il nostro lavoro, partecipando a progetti e attività di cooperazione e rafforzamento delle reti di comunicazione nei Paesi dove l’informazione ancora non è libera.
Sono moltissimi i progetti che abbiamo potuto portare avanti in questi anni, preziose esperienze in cui il fare radio si è intrecciato con il costruire radio. Nel vero senso della parola. I nostri redattori e i nostri tecnici hanno lavorato alla ricostruzione della rete radiofonica ad Haiti dopo il terremoto, in Palestina e a Capo Verde sono nati due media center per giovani giornalisti, è stata avviata un’emittente nella Tunisia post Ben Alì.
Tra poche settimane riaccenderà anche i microfoni Radio Ghetto, una radio che trasmette dalle baracche di Rignano Garganico e che siamo orgogliosi di poter sostenere e diffondere attraverso i nostri canali. In questo territorio in provincia di Foggia ogni anno migliaia di braccianti, quasi al 100% migranti, accorrono per raccogliere i pomodori e lavorare i nostri campi. All’interno del villaggio di cartone e lamiera, c’è anche Radio Ghetto, costruita anch’essa con materiali di recupero, alimentata da pannelli solari, autogestita dai braccianti stessi, assieme a un gruppo di solerti volontari. Una volta finito di lavorare, seppur con la schiena e le braccia doloranti, gli abitanti del ghetto accorrono a decine ad alternarsi al microfono, per raccontare la loro giornata, chiacchierare e passare musica. In italiano e nella loro lingua di origine.
Ho letto proprio in questi giorni che è in cantiere un nuovo tablet per ciechi, con tastiera e schermo in braille. Non bastano i lettori vocali, sosteneva l’autore dell’articolo, per comprendere cose e fatti, ma è necessario anche un approccio sensoriale. Insomma, le cose, dopo averle ascoltate, bisogna anche poterle toccare, per conoscerle e capirle meglio.
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